31 dicembre 2006

Cronache crucche di un cervello in fuga

Sogno spesso di scappare. Corro fortissimo, come un' invasata fino a che non riesco a più respirare. Poi mi sveglio, mi gratto in testa e dico un sacco di parolacce.
La psicologia spicciola mi ha suggerito che, in realtà, io devo scappare. Andare in un posto in cui possa essere serena. Il fatto è che io di psicologia non so niente...
Ad ogni modo gli do ascolto comunque e me ne vado. Sto per emigrare in terre germaniche così che possa sentirmi a casa mia in un posto che, di fatto, non lo è.
Ironico, no?
Da bambina mi piaceva la musica classica, avevo le cassettine delle composizioni romantiche di Tchaikovsky e quelle più austere di Beehtoven, mi chiudevo in camera mia e le ascoltavo.
Inusuale. Decisamente nerd. Le preferivo alle opere di Cristina D'Avena che, invece, i miei coetanei adoravano.
Così non ci capivamo un granché, quando ne parlavo mi guardavano con fare interrogativo finché non decisi di piantarla perché, per me, avevano ragione loro. Pensai di adeguarmi, era più semplice. Ho persino finto entusiasmo quando, a 15 anni, mi hanno regalato un disco dei Backstreet Boys (solo che poi mi è caduto per terra con violenza e senza accorgermene ci ho camminato sopra).
Al liceo ero l'unica ad avere idee politiche più o meno chiare, e per giunta di sinistra, in una scuola privata cattolica.
Beh, non è andata molto bene neanche lì anche perché, stavolta, non ero molto sicura che avessero ragione loro. Allora mi sono e mi hanno isolata perché, ancora una volta, non ci capivamo.
Ed è andata così fin quando ho maturato la convinzione che l'emarginazione è uno stato da cui è possibile uscire.
E non scappando, ma “cambiando”. Non sé stessi ma il resto.
Durante il liceo ho cambiato frequentazioni, attorniandomi di gente che parlasse la mia stessa lingua, che potesse capire quello che sentivo ed esprimevo senza dover per forza mediare e spiegare oppure omettere.
Adesso cambio Stato e mi attornierò di gente che non parla la mia lingua ma che sa capire e mi può accogliere in un ambiente aperto ai giovani laureati che vogliono pensare anche al dopodomani.
Lo so, è di nuovo ironico ma tant'è.
Ho paura ma anche no. Mi preoccupano un sacco di cose ma sono felicissima per altre. Vivo in un tumulto emozionale che non riesco a ben definire.
Ma non vedo l'ora di partire, anche per sentirmi libera in una condizione in cui sarò migrante e quindi “emarginabile”. E pensare che ancor più dolce è la libertà che, con fatica, si guadagna giorno dopo giorno, contro avversità, crolli emotivi, cali glicemici, peli superflui, diete dimagranti e morbillo degli adulti.
Vi terrò informati...

/Alessandra Scamurra/

Alessandra Scamurra e il suo cervello in fuga dal prossimo mese terranno una rubrica fissa sul sito www.revonline.it


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