L’elettricità nell’aria loro non l’avvertirono. Non si accorsero del buonumore che accompagnava i passi degli ultimi ritardatari che si affrettavano rincasare. La tradizione voleva che nel giorno della Vigilia si digiunasse a pranzo, per poi riunirsi nel tardo pomeriggio, nelle case irradiate di luci e circonfuse di odori appetitosi, per una grande cena di famiglia, da consumare boccone dopo boccone, portata dopo portata, fino a mezzanotte, tra i numeri della tombola e giochi di carte. Le mamme, le zie e le nonne avevano passato i giorni precedenti, fino a quella stessa mattina, a spadellare e spentolare. Sughi di pesce, verdure di stagione, delizie fritte e una grande profusione di dolci, dolcetti, pasticcini e sfiziosità non aspettavano altro che essere serviti e assaporati.
Non era invece la fame la principale preoccupazione che muoveva quegli ospiti inattesi. Il loro era un piano di conquista. Erano l’avanguardia di una grande invasione e potevano essere felici del fatto che nessuno prestasse loro attenzione. Nessuno tranne Nietta, che si trovava a bighellonare davanti alla finestra, nell’attesa dell’arrivo degli ultimi ospiti per la cena. Era la più piccola della famiglia, l’ultima nipote della nonna Maria. Dalla casa inserita in un blocco di appartamenti, giusto al bordo del paese, la bambina guardava il cielo che annottava, sperando in un fiocco di neve che imbiancasse la festa, avvenimento impossibile in quella regione.
Standosene col naso per aria, vide brillare nell’aria quasi buia la vivida parabola di una scia luminosa. Fu un attimo. La bambina sorrise e si illuminò a sua volta, ripetendo a fior di labbra gli ultimi versi della filastrocca imparata alla scuola materna, che raccontava di una stella cometa che aveva rischiarato una celebre stalla.
La traiettoria di luce che i grandi occhi della bimba avevano accompagnato fino a terra si era fermata nel fitto degli ulivi della campagna. Ma non poté vedere di più, nonostante le sue proteste, perché sua madre venne a prendersela e le ordinò di lavarsi le mani. Gli zii erano tutti arrivati ed era tempo di mettersi a tavola.
Durante la cena, la bimba non pensò ad altro che a quella strana stella che aveva visto cadere poco lontano dalle abitazioni. A una ventina di minuti dallo scoccare della mezzanotte, tra un capriccio e un broncio, Nietta convinse la mamma a darle il permesso di mettersi il cappotto e scendere giù in cortile per far scoppiare i suoi petardi di bambina, che aveva comprato assieme al papà per quella festa. La mamma, assorta in una conversazione, dapprima escluse che potesse andare da sola, ma poi disse sì con un sorriso svagato.
Nietta non si aspettava di incontrare proprio nessuno nel cortile, a quell’ora della notte della Vigilia di Natale. E quando da dietro un cespuglio dell’aiuola sbucarono quelle buffe creature verdi, alte fino al suo ginocchio, restò stupita, titubante. Quelli le si fecero subito incontro gorgogliando strani versi.
Stretta alla sua bambola, la bambina fu felice di condividere con i suoi inattesi compagni di gioco i suoi petardi. Esplose il primo, lei rise. L’aria risuonò quindi una scoppiettante sequenza di sussulti. Nietta batteva le mani. Impreparati a quell’accoglienza, gli invasori fuggirono via tutti insieme.
Delusa di aver perso l’insperata e stramba compagnia, la bambina restò a guardare la fuga precipitosa, senza per questo perdere il sorriso sulle labbra. Uno di loro si attardava. Arrancò. Nietta lasciò cadere la sua bambola, lo raggiunse e lo agguantò.
Gli altri avevano oltrepassato i cespugli e il cancello che cingeva il cortile. Si tuffarono nel buio e corsero via, senza voltarsi.
Nietta risalì con impeto le scale, stringendo la creatura al collo, all’improvviso impaurita dalla grandezza della notte che incombeva sul cortile. La bambola era rimasta abbandonata nel silenzio davanti al portone. Rientrò in casa qualche minuto prima del brindisi di mezzanotte. La mamma le diede un bacio e una fetta enorme di pandoro.
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