25 dicembre 2006

Il cassonetto

Per capire il carattere di una donna basterebbe guardare nella sua borsa, non c’è dubbio. La borsa è una mondo parallelo, una seconda casa, non più quindi semplice oggetto per tenere insieme chiavi, portafogli e telefono.

Quando ad esempio si ha bisogno di un accendino, sarebbe saggio chiedere ad un uomo, che frugando nelle tasche, in pochi secondi risolve la questione. Se chiedete ad una donna, l’operazione spesso si trasforma in uno psicodramma senza precedenti. La poverina è costretta ad aprire l’enorme borsa e cercare tra fogli, fogliacci, cartacce di caramelle, trucchi e accessori vari. Per un uomo credo sia estremamente esilarante vedere il braccio della malcapitata che sparisce dalla vista per entrare in quel buco nero. I secondi passano, lei si stressa ma non molla, perché nella sua confusione è abituata a sopravvivere.

La moda degli anni novanta proponeva borse piccolissime, talmente limitate nella loro capacità che qualsiasi cosa ci si metteva dentro ne riusciva devastata come dopo una centrifuga. Oggi invece ci si sbizzarrisce in migliaia di modelli che hanno una capacità che sfiora i sacchi per l’immondizia di misura condominiale. Così possiamo portare con noi ogni cosa “davvero necessaria”. L’elenco è ovviamente variabile, la quantità no. Più una borsa è grande e più si riempie, perché in casa ci sono mille cose che potrebbero servire, fosse anche una volta ogni sei mesi, devi sapere che sta lì, perché l’ansia di non avere ciò che ci serve supera di gran lunga quella del trasporto di chilogrammi di merce.

L’uomo non può capire tutto questo, lo so. Vedo terrore nei loro occhi quando mi chiedono un qualcosa e io rispondo: “Cerca nella mia borsa”. Balbettano in maniera imbarazzante per poi declinare l’invito.

Negli anni ho capito che la differenza macroscopica tra la confusione proiettata nella quotidianità maschile e quella femminile è dovuta agli spazi. L’uomo si sfoga in casa, la donna nella sua borsa. Sarà per l’eredità naturale e culturale che la vede come detentrice dello scettro nella gestione degli spazi grandi, forse psicologicamente la rende predisposta alla ricerca di sé all’interno della borsa, uno spazio privato nel quale nessun occhio può entrare.

Ci deliziamo nel vedere che tutto ciò che ci serve si trova lì dentro, in quel mezzo metro cubo di tenebre e rovi di carta, plastica e affini, sviluppando inoltre un senso tattile di elevata portata, essendo la mano l’unico strumento in grado di raggiungere anche gli oggetti più piccoli. Non c’è materiale che i polpastrelli non siano in grado di riconoscere, complice l’avambraccio che funge da mulinello, frughiamo in maniera veloce raggiungendo i tempi record dell’uomo di cui sopra, nel tirare fuori quello che ci serve. La differenza sta nel marasma in cui noi dobbiamo destreggiarci, contro la tasca ripiena di accendino.

Lo scontro di genere passa anche da qui.


/Stefania Carlucci/

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