31 dicembre 2006

L’amico Etiope / Matondo, grazie

Carcere di Pointe Noire, Congo Brazzaville, domenica mattina.
Un sacerdote di fronte ad un gruppo di uomini seduti per terra, immobili, in silenzio, che ascoltano curiosi. Gli sguardi pesanti, scavati, incuranti delle mosche. Gli occhi ancora vivi, umani, lo seguono stanchi. Le guardie fermano la ronda e abbassano i manganelli. Ascoltano.

Nell’ospedale di Loandjili c’erano due malati, amici nella stessa camera.
Uno era più lontano dalla finestra e non riusciva a vedere fuori. Non potendosi alzare chiedeva all’altro di descrivergli che cosa vedeva, che cosa succedeva in tutti quei giorni fuori dalla finestra. L’altro gli raccontava della vita, delle feste, della banda della città che passava. Delle donne che alla mattina andavano al mercato, con le ceste portate in equilibrio sulla testa, col vestito elegante e il bambino legato sulla schiena. Degli uomini che spingevano carretti di rottami raccolti tra la spazzatura o camminavano senza sapere bene dove andare. Dei bambini che schiamazzavano e giocavano nel fango tra animali, coperti magari solo da una maglietta lurida di qualche giocatore di calcio europeo. C’era tutta la vita di Pointe Noire in quei racconti e gli amici ne godevano insieme.
Un giorno però il malato vicino alla finestra muore improvvisamente e lascia solo l’amico. Questo si dispera per la perdita e chiede subito agli infermieri di portargli presto un nuovo compagno di camera: “voglio qualcuno con cui parlare, che mi racconti quello che c’è fuori dalla finestra come faceva il mio vecchio amico. Voglio continuare a sapere quello che succede fuori”.
Gli infermieri lo guardavano però incuriositi e non capivano, finché uno gli disse: “il tuo vecchio amico era cieco, e ti voleva bene.”

/Carmine Fiume/


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