15 febbraio 2007
Lezione di giornalismo
Da REV numero 22 - Buonasera, Italia
/Mara Azzarelli/
Stampa il post
Quando gli amici di Rev mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su questo tema, il giornalismo, ho capito che non sarebbe stato semplice. Nella mia testa mettere a fuoco la risposta diventava sempre più difficile. Un po’ come una macchina fotografica che non centra mai il soggetto giusto passavo da un pensiero all’altro, da una verità (la mia per carità) ad un’altra. Così rimandavo l’inizio di questo articolo (anzi me ne scuso ancora con gli amici di Rev) fino a oggi che ho capito da cosa derivava quella confusione. Faccio questo mestiere da poco meno di nove anni. L’esperienza non è ancora abbastanza per poter avere una visione complessiva. Se a questo sommate il fatto che secondo me il giornalismo “racconta” e non “si racconta” capite l’imbarazzo. Chiariamo quindi da subito che questa è la mia personalissima, umile e magari anche discutibilissima visione del giornalismo. Un mestiere a cui mi sono avvicinata per uno spiccato senso della giustizia, per un’insaziabile sete di verità e per la ferma convinzione che il giornalista non debba essere altro che lo strumento attraverso il quale le persone denunciano, raccontano, condividono. Quando ero ragazzina, capitava che mi chiedessero per quale ragione volessi fare questo lavoro, ho immaginato spesso una metafora. Vedevo il giornalista come una sorta di megafono attraverso il qualche chi subiva un torto poteva urlare, chi vedeva violato un diritto poteva dire e rivendicare. Insomma uno strumento a disposizione di tutti. Se questa era la mia romantica visione del mestiere a riportarmi alla realtà furono gli occhi di mio padre quando un giorno dissi. <>. L’avevo detto altre volte ma in quel caso lui capì che dicevo sul serio. Nei suoi occhi, uomo meraviglioso ma straordinariamente pratico, vidi il terrore. <>. Oggi capisco e vivo sulla mia pelle il significato di quella frase. Non che mio padre non vedesse l’attività del giornalista come un’attività nobile. Anzi, adesso più di allora, so come fosse vero il contrario. Voleva dirmi, perché con l’esperienza lo vedeva meglio di me, che sarebbe stato un percorso lungo e faticoso. Fare il giornalista oggi in Italia non è una cosa semplice. Ancora più se sei giovane e digiuno, diciamo così, di determinati ambienti. Ecco perché migliaia di giornalisti nel nostro paese faticano ad ottenere adeguati riconoscimenti professionali. Il risultato sono giornali e televisioni che si rinnovano poco e che sprecano energie fondamentali per crescere. Allargando un po’ il punto di vista il buon giornalista ha bisogno di maestri validi, di passione e di coraggio. Elementi molto difficili da trovare. Qui sono stata fortunata. Per il resto, i recenti fatti di cronaca e la loro evoluzione ne sono la dimostrazione, il giornalista dovrebbe sempre avere un punto di vista che è quello dato dalla verità dei fatti. Non è sempre possibile, l’ho sperimentato sulla mia pelle. Penso alla violenza di Capodanno alla Fiera di Roma. O a quella della Caffarella. In entrambi i casi le storie presero da subito una piega che si dimostrò poi sbagliata. I giornalisti sono caduti nella trappola (delle circostanze) e hanno espresso una sentenza non “attenendosi ai fatti”. Credo ancora, come quando ero ragazzina, che il giornalismo sia un meraviglioso e democratico strumento per urlare la verità e che quel “megafono” dovrebbe sempre rimanere a disposizione di tutti. L’esperienza mi ha anche insegnato però che la verità è necessariamente quella dei fatti e che quel “megafono” è anche uno strumento potentissimo che può portare alla verità ma anche fare molto male. Per questo bisognerebbe sempre usarlo con consapevolezza, buon senso, rispetto e onestà.
Etichette:
26,
Buonasera Italia,
Lezione di giornalismo,
Mara Azzarelli,
numero
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento