E’ l’ultima cosa che dice prima di chiudersi la porta alle spalle. Dopo restiamo solo noi due e un silenzio atroce che sembra volerci inghiottire.
Mi ha guardata negli occhi mentre ha mormorato questa frase a denti stretti. Mi ha inchiodata al muro con il suo sguardo e mi ha pietrificata per tanta schifezza c’era nelle sue parole. Denis è uscito da un bel pezzo e io non riesco a pensare ad altro. E’ inquietante. E’ come uno strano sogno del cazzo e dentro ci siamo noi due che non sappiamo che fare per quarantotto ore. E intanto io continuo a pensare a quella dannata frase. Che male c’è se vogliamo qualcosa? Ce la prendiamo e basta! Vuoi una cosa? Te la prendi, se ne hai le palle, te la prendi e basta! Ma lei, eh no, lei, amico, non è in vendita. Ma se ne può parlare. Tutto quello che accade attorno a me non ha più importanza. Niente è dannatamente importante quanto quella frase. Non il fatto che Denis è partito per la Germania e fotterà sei porsche nel giro di qualche giorno. Non il fatto che è già la quarta volta in sei mesi che fa questi giri assurdi per l’Europa e ogni volta rischia di finire dentro per traffico illegale di macchine. Non il fatto che la settimana scorsa la finanza ha suonato alla porta e lui si è buttato dalla finestra della camera da letto (stavamo facendo l’amore ed erano secoli che non lo sentivo venire in quel modo) lasciandomi nuda in quella stanza. Non il fatto che da qualche giorno c’è sempre un furgone nero parcheggiato proprio di fronte a casa e che forse Denis ha inscenato questa storia delle porsche in Germania per scappare lontano. Niente ha più senso di fronte a quella frase. Denis non è mai stato un gran amatore, ma almeno non ha mai cercato di barattarmi in cambio di qualcos’altro. Ma in cambio di cosa ha detto quella frase? Che sperava di ottenere? Non so darmi pace. Sembra sia più facile pensare alle parole di Denis che non guardare in faccia questo ragazzino che sembra spaesato, che vorrebbe dire qualcosa ma non sa cosa, che non vuole sbagliare, che magari è alle prime armi e anche lui si sta interrogando su cosa intendeva dire Denis.
Mi alzo, prendo il pacchetto di Marlboro light dalla borsetta e mi avvicino a lui.
“Vuoi?”
“Nun fumo”
“Perché non mi guardi negli occhi?”
Lui alza la testa. “Nun fumo”
Mi siedo sullo sgabello della nostra immensa cucina e lo guardo mentre aspiro il fumo. Perché invece a me piace un sacco, fumare. Accavallo le gambe, mi sposto i capelli dagli occhi e lo fisso.
“Quanti anni hai?” gli domando.
Lui abbassa di nuovo lo sguardo. “Ventidue”
“Come hai fatto a conoscere mio marito?”
“Veniva a gioca’ ai cavalli”
Sorrido. “Scommesse, vero? E quante ne ha vinte?”
Ora è lui che sorride. “Manco una” poi si accorge che lo sto guardando e sposta lo sguardo sul divano in pelle, sui cuscini damascati, sulla bottiglia di Frascati, sulla parete in parte ricoperta di mosaico.
“Ci sei mai venuto qua?”
“Intende qua a casa sua?”
“Sì”
“No, è la prima vorta”
“Ti piace?” chiedo schiacciando la Marlboro nel posacenere in marmo.
“Signorì, io so’ nato a Secondigliano e adesso abito a Valle de’ Fontanili. Eh, certo che me piace qua”
“E quindi che vogliamo fare?” come se ci fosse una conclusione a tutto questo.
“Che vogliamo fa’?”
“Mi porti a fare un giro?”
Lui ride. “Ma io nun sto qua colla machina, manco ce l’ho!”
“E come sei venuto? A piedi, da Valle dei Fontanili a Le Rughe?”
“No, co’ lo scooter”
“E ce ne andiamo con lo scooter”
Lui sembra perplesso. Io non sono mai stata così convinta.
“Dai, che questo posto puzza!” gli dico.
Mentre salgo sullo scooter, che mi sembra troppo bello per un ragazzo che è nato a Secondigliano e che ora abita a Valle dei Fontanili, mi ritorna in mente la frase di Denis. E’ inquietante. Mi sento carne al macello. Voglio togliermi questo schifo di dosso.
Esce dal quartiere e prende la strada per il centro storico.
“Tienite! Stai sicura?” domanda lui.
“Non c’è niente di sicuro”
“Ch’hai detto?”
Di sicuro c’è solo che ora mi faccio un giro da quindicenne con una mezza guardia del corpo di mio marito, che forse ci mangeremo un gelato e che non c’è niente di male se vogliamo una cosa, ce la prendiamo e basta!.
Stiamo in scooter da un sacco, ma io non mi sono ancora stancata. Sento che vorrei volare come questi uccelli che passano sopra le nostre teste, vorrei essere leggera come l’aria che scompiglia i miei capelli, vorrei che Denis fosse partito un sacco di tempo fa e che io mi fossi trovata qui molto prima di oggi. Ecco cosa vorrei, è chiedere molto?
Apro gli occhi e poi li richiudo. Roma mi passa davanti sottoforma di diapositive: l’arco di Costantino, Il Colosseo, il tempio di Vesta, teatro Marcello, il giardino degli aranci, una carrozza, un cavallo, una coppia che si bacia.
“Frena!! Ti ho detto frena!!”
Lui si ferma vicino al marciapiede. “Aho! Me sta’ a prende un corpo! Ma ch’hai fatto?”
“Una carrozza. Voglio andare su una carrozza come quella!”
“Ma come se fa’…”
“Dai…” faccio il broncio e mi sento veramente una quindicenne.
Lui sorride e mette in moto.
Poco dopo arriviamo al Testaccio. E’ pieno di curdi e di tende. Mi fa un po’ paura.
“Ce sta la carozza de mi padre libera. Piamo quella e te faccio fa’ tutto er giro de Roma, però devi sta’ dietro. Che sennò so cazzi!”
Mi sta simpatico il ragazzino.
La stalla puzza. Mi dice di aspettarlo fuori che ci vorrà qualche minuto. Intanto guardo le tende, guardo come vivono questi poveretti e mi chiedo come sia possibile che noi beviamo tutte le sere in bicchieri dipinti a mano e loro non hanno manco l’acqua per lavarsi.
Il ragazzino arriva con la carrozza. “Prego signorì”
Mentre giriamo per Roma, lui mi parla di suo padre che si è sputtanato tutti i soldi a giocare ai cavalli, che adesso si deve alzare tutte le mattine alle cinque per ritrovarsi in Piazza di Spagna con la carrozza a fare la conta, mentre lui non vuole fare quella fine.
“E cosa vorresti fare?”
“Io me sto facendo tutto da solo. Faccio ‘sto lavoro da du’ anni, metto via ‘n sacco de sordi. Aiuto tu marito, e presto riuscirò a compra’ du’ o tre cavalli da fa’ core quando vojo. E vedrai che sordi che farò!”
Sorrido. Lo lascio nella sua illusione. Non ho voglia di controbattere.
Arriviamo al giardino degli aranci.
Lui scende.
“Be’, che fai? Mi lasci qui? Non mi aiuti a scendere?” scherzo mentre lui non fa che fissarmi e io mi sento un po’ a disagio.
“Te sto’ a guarda’. Certo che nun me l’aveva detto Denis che c’aveva ‘na moglie così bella. Cor caschetto corto, er rossetto rosso e er vestito che s’ arza un pò, sei popo ‘na favola”
Allungo il braccio e gli dico di aiutarmi a scendere.
Camminiamo un po’ e respiriamo il profumo degli alberi, dell’erba fresca, della frutta.
Ho gli stivali scamosciati, morbidi sulla gamba, il vestito blu corto, che si alza ad ogni folata di vento, il caschetto che mi copre gli occhi. In effetti non mi sono truccata, solo il rossetto sulle labbra prima di uscire, mentre lui mi guardava sulla porta. E devo dire la verità, mi è piaciuto mettermi il rossetto mentre lui mi mangiava con gli occhi stando immobile sulla porta.
Anche adesso mi sta guardando.
“Non hai studiato?” gli domando.
“No. Nun me ne fregava niente. E poi ho visto mi padre quanto guadagnava e volevo fa’ come lui”
“Però non vuoi buttare all’aria tutto come ha fatto lui?”
“A me le sole nun me le fanno”
“A tuo padre ne hanno fatte?” mi siedo su una panchina. Un’altra folata di vento e il vestito mi si sposta, scoprendo il ginocchio. Lui mi guarda le gambe e capisco che ha ben poca voglia di parlare di suo padre.
Si siede accanto a me. “Ma quanto sei bella? Me piaciono le tue labbra?”
“Attento, stai scherzando con il fuoco. Io non penso che Denis dicesse sul serio prima di uscire di casa”
Davanti a noi c’è la cupola del Vaticano. Mi prende il respiro, fino a quando lui non mi stringe la mano. Mi attira a sé e tenta di baciarmi. Mi divincolo e mi metto a correre.
Ci cerchiamo tra gli alberi, tra i cespugli, tra il profumo di aranci, tra le panchine dove le coppie si stanno
baciando. Mi fermo, ansiamo. Mi scosto dal tronco di un albero. Di nuovo la cupola. Di nuovo mi manca il respiro. Sento i suoi passi che si avvicinano. La sua voce che mi chiama. Sembra proprio un ragazzino. Ha la voce da ragazzino. Le sue mani mi stanno sfiorando. Corro di nuovo. Non avrà tregua. Rido, come non faccio da tempo. Arrivo al portone. Vedo la carrozza. Salgo e urlo di gioia.
Lui mi raggiunge.
Poggia le mani sui miei fianchi. Mi guarda con gli occhioni pieni di desiderio. E questa cosa mi fa morire.
“Dai, che ho voglia di un gelato” gli dico.
Ferma la carrozza in piazza di Spagna.
Saluta alcuni amici che stanno aspettando di caricare dei turisti.
“Ce ne annamo a prende er gelato?”
Annuisco. “Anche se qui non è il più buono del mondo, però può andare”
“Ah, Save’ ma che sta’ a fa’? Ma vedi d’andà a Villa Borghese” urla uno dei suoi amici.
Lui ride ma non risponde.
Ci mangiamo il gelato seduti sui gradini.
“Ce vieni mai in centro con tu’ marito?”
Sorrido. “Con Denis? Ma no, lui dice che si stanca. Mi lascia la carta di credito e mi fa andare con Luigi o Rosita”
“E chi so’?”
“Luigi è l’autista, che adesso se n’è andato in Germania con Denis, Rosita la governante”
“Ammazza ao’, pure la governante c’hai!”
“Denis pensa che farmi uscire con qualcuno della famiglia sia più sicuro. Tanto non lo sa che se vogliono farci qualcosa possono in ogni momento”
“Ma fa’ che?”
Scuoto la testa. “Tesoro, tu non hai ancora capito in che giro si trova Denis. Se ci vuoi entrare, fai pure. Ma stai attento, devi essere molto furbo!”
“Io ce provo”
Lo guardo e per un attimo nei suoi occhi vedo la brama che aveva Denis alla sua età. Brama di potere, di soldi, di essere qualcuno, di riuscire in qualcosa, di superare il padre. E penso alle feste nella nostra villa, alla piscina piena di gente, alle ragazze nude, alle bottiglie di Champagne, alla musica, ai cavalli e alle macchine. Tutte quelle macchine che vanno e vengono.
E io che cerco di farmi spazio tra una bottiglia di Champagne, una porsche e Brunello, il suo cavallo preferito.
Ora che sono in camera da letto, mentre lui non mi vede, guardo la mia immagine riflessa allo specchio. Mi passo le mani sul corpo. Sento il collo liscio, le spalle ossute, il seno prosperoso, quel seno di cui mi vergognavo quando ero ragazzina, quel seno che Denis vuole che esibisca ogni volta che Brunello gioca, perché dice che porta bene, sento il mio ventre piatto, muscoloso per la troppa corsa, la voglia di correre è sempre stata una priorità nella mia vita e forse quest’ansia di fuggire via l’ho mantenuta tutt’ora, perché in fondo ogni volta che corro è come se stessi scappando da qualcosa. Fermo le mani sul sedere e rivedo mia madre che mi guarda dalla cucina, con la sigaretta perennemente in bocca, che sembrava che ce l’avesse attaccata, dirmi, ogni volta che uscivo con Denis: “ ‘Na bella mignotta!”.
Mi guardo riflessa allo specchio e nel mio viso vedo tracce di un padre russo inesistente da anni, invisibile ai miei occhi e a quelli di mia madre, vedo la sfacciataggine dei napoletani come mia madre, ma anche la loro genuinità, la loro vivacità, il loro modo teatrale di esporsi in pubblico, vedo i tratti esotici dei miei nonni sudamericani, vedo l’esperienza che mi ha plasmata in questi anni con Denis. E tutto questo si mescola e prende forma nel mio corpo. Eppure, in questo momento, mi sento bellissima, voglio essere bellissima, attraente come non lo sono mai stata. Voglio scendere dalle scale e vedere quel ragazzino (di cui non ricordo ancora il nome) che resta senza fiato. Anzi voglio fare di più, voglio rubargli… qualcosa di intimo, di suo, qualcosa che nessun altro potrà mai rubargli.
E mentre mi passo l’olio sulle gambe, sulle braccia, sui seni, penso a lui e rido per quel che verrà dopo. Perché lui non sa che faccio questo gioco ogni volta che Denis mi pianta a casa con qualche guardia del corpo del cazzo. Però è la prima volta che Denis esce di casa alludendo alla mia persona come fossi merce di scambio. E allora il gioco si fa più tosto. Io non amo perdere.
Indosso un vestito bianco, con una scollatura a goccia sulla schiena, mi spruzzo il profumo al gelsomino e infilo i sandali.
Lui è spalmato sulla poltrona. Sta guardando le anticipazioni del derby Lazio-Roma che ci sarà questa sera. Gli passo una mano sui capelli, lui si gira e sgrana gli occhi.
“Dimme che sei tutta pe’ me…!” sussurra con un filo di voce.
Mi siedo sullo sgabello in cucina, lo stesso dove stavo seduta qualche ora fa, quando Denis è uscito di casa. Il pacchetto di Marlboro è abbandonato sul tavolo. Allungo il braccio e prendo una sigaretta. Me la metto in bocca. “Hai da accendere?”
Lui si alza, prende un accendino dalla tasca dei jeans e mi accende la sigaretta.
“Grazie. Dove mi porti a cena?”
Lui deglutisce. “Te c’hai fame?”
“Molta. Tu no?”
Lui mi guarda e mi sta mangiando con gli occhi.
Di nuovo prendo la parola io. “Voglio che mi porti in un posto razzo, dove si mangia casareccio”
“Sei sicura?”
“Di cosa?”
“Che voi anna’ a magna’!”
“Certo”
Gli dico di prendere la mia cinquecento bianca, gli lancio le chiavi del garage e pure quelle della macchina. Lui non fa obbiezioni. Capisco che qualsiasi cosa gli domando lui la farebbe.
Un’ora dopo stiamo passando davanti la chiesa di San Paolo.
“Di sera è stupendo! Cristo messo così sembra un mosaico gigante da tanto che brilla!”
“Te ce potevano mette a te ar posto de Cristo, che tanto brilli allo stesso modo!”
Gli faccio una carezza, perché, nonostante la parlata romana, il modo in cui l’ha detto conserva tutta la dolcezza dei vent’anni che forse non sentirò più.
A tavola, davanti a un piatto alla carbonara gli domando:
“Lavorerai per Denis d’ora in poi?”
“Se me lo chiede, quarche favore jelo faccio”
“Ti paga bene, vero?”
“Eh certo che me paga bene. E poi se me chiama pe’ guarda’ te, pure se nun me paga vengo lo stesso!”
Rido. “Ma sei sicuro? I soldi ti danno tanto ma ti tolgono anche tanto!”
“No, a me non torgono niente!”
E ancora una volta rivedo Denis alla sua età.
Resto in silenzio fino a quando non entriamo a casa. Lui mi prende per mano, accende la radio. Passano Dancing Queen. Ci mettiamo a ballare. Lui mi abbraccia, mi fa girare, rido. Poi mi scosto, ballo da sola dandogli la schiena, poi lui mi riprende ancora per le mani e mi riavvicina a sé.
E mentre la canzone scivola tra le note di un altro vecchio pezzo lui mi bacia e io mi sciolgo tra le sue labbra.
Poi di nuovo mi sposto. Metto un cd di canzoni napoletane. Malafemmena è la prima. Sorrido, lui mi guarda immobile. Con una mano lo faccio sedere sulla poltrona, lui si sbottona la camicia, io faccio scendere la cerniera del vestito e ballo lentamente.
“Tu me voi fa’ impazzì!”
Sorrido di nuovo.
Lui canta e la sua voce si confonde a quella di Roberto Murolo.
“Femmene comm'a te nun c'hanno a sta
pe n'ommo onesto comm'a mme…”
“Onesto ma quando mai?” dico io e mentre ballo prendo una sigaretta e me la faccio accendere da lui.
Lui si alza, prende la sigaretta, fa qualche tiro e poi la poggia nel posacenere. E di nuovo canta:
“Femmena si doce comme u zucchero, però sta faccia d'angelo, te serve pe' 'ngannà…”
“Io non inganno nessuno!” rispondo con poca convinzione.
E prima di baciarmi canta: “ Femmena si tu a cchiu bella femmena, te voglio bene e t'odio, nun te pozzo scurda'…” .
Un bacio lungo che dura forse la canzone successiva. Tenta di togliermi quel mi resta addosso. Mi divincolo, gli sfilo la camicia, bacio il suo petto. Poi lui prende il volto tra le mani:
“Ma che voi da me?”
“Ti voglio rubare l’anima”
Balliamo ancora.
Mi bacia.
Lo lascio fare.
Lo bacio.
Mi lascia fare.
Non so per quanto tempo va avanti questo cercarsi di bocche, mani, gambe, di corpi intrecciati e sudati. So solo che il cd è finito e lui sta ancora tentando di togliermi le mutandine. Lo fermo. Sono seduta sulla scrivania di Denis, tra le mani mi capita una machina fotografica. La prendo e la porgo a lui.
“E che ce faccio?” mi chiede.
“Fammi delle foto”
“Così?”
“Così!”
“Qui?”
“Preferisci in camera da letto?”
Lui annuisce con il sorriso di chi la sa lunga.
Sono le undici del mattino quando sentiamo il rumore delle ruote sulla ghiaia. Apro gli occhi a fatica. Lui sta dormendo. Lo abbraccio.
Poi sento delle voci. Ne riconosco una. Forte, decisa, un po’ roca.
“Denis!” urlo mentre cerco di svegliare il ragazzo.
Lui biascica qualcosa.
“Denis! Cazzo, Denis!”
Il ragazzo si sveglia di soprassalto. “Che?”
“Denis! Vestiti! Dai cazzo!!”
In un attimo ci vestiamo, io aggiusto la parte di letto dove lui ha dormito. Scendo le scale raccolgo l’intimo mio e suo, corro in cucina, prendo il mio vestito bianco e i sandali e riporto tutto in camera mia. Butto nell’armadio, nel primo cassetto vuoto che trovo, la nostra biancheria intima e il mio vestito. E tutto questo mentre dentro di me risuona la musica di Benny Hill.
Denis apre la porta.
Io sono seduta sulla poltrona. Fumo.
Il ragazzo sta bevendo. Suda.
“Guarda, guarda come son tranquilli. Non vi siete mossi?”
Spengo la sigaretta nel posacenere. “Ciao Denis, hai fatto buon viaggio?”
Lui viene verso di me. Mi prende la mano e mi attira a lui. Mi bacia mentre guarda il ragazzo che ci fissa con aria incredula, come se fossi la sua donna. Denis si scosta da me. “Hai un buon profumo” mi dice nell’orecchio. E io non so se è ironico oppure se davvero ha intuito qualcosa.
Fa un cenno con il capo al ragazzo, che lo segue in giardino.
Li guardo parlare fitti per qualche minuto, forse di più.
Un’altra Marlboro. Sono nervosa. Non voglio che vada via.
Mi rivedo in carrozza con lui, sullo scooter, al giardino degli aranci, qui, nel mio salone, mentre balliamo, mentre lui mi stringe, mentre ci baciamo. In camera da letto.
Sono di nuovo in cucina. Si stringono la mano. Il ragazzo intasca una busta.
Mi guarda. Mi ferisce con lo sguardo. “Allora… vado…”
“Ti chiamo appena so qualcosa” dice Denis.
“Bene… ci… vediamo”
Denis lo saluta di nuovo, ma il ragazzo continua a stare sulla porta.
Lo saluto, abbasso lo sguardo.
Denis si volta verso me.
Mentre salgo le scale, sento la porta di casa che si chiude con un tonfo.
“Roberto Murolo? Te piace la canzone napoletana?”
Denis è in bagno.
L’acqua della doccia copre la sua voce.
Lui ripete.
Io non ho voglia di rispondere.
“E che ci fanno i bicchieri di Champagne?”
Resto in silenzio.
“E la bottiglia rovesciata sul tappeto?”
Silenzio.
Denis apre il box doccia, mi afferra per un braccio e mi fa uscire. Insieme al mio corpo esce una nuvola di fumo.
“Vi siete divertiti?”
“E’ stato di compagnia”
“Brava” mi dà uno schiaffo.
Io lo guardo negli occhi. Gli restituisco lo schiaffo.
Lui mi bacia. Finisce che facciamo l’amore in bagno.
Vibrazione. Suoneria. Non capisco dove mi trovo. Mi fa male la testa. Di nuovo qualcosa che vibra sul comodino e poi una suoneria. Mi sveglio. Denis è in piedi, in un angolo della stanza. Mi guarda allarmato.
“Cazzo” lo sento dire.
“Quando? Stasera? Brutto figlio d’una mignotta…!”
Sbatte il cellulare sul comodino.
“Che succede?” domando preoccupata.
Lui prende un’agenda. La sfoglia velocemente.
“Che succede?”
Ma Denis non mi risponde. Prende il cellulare, compone un numero.
Ha chiamato il ragazzo.
“Senti, me ne devo anna’ de novo… no… poi te spiego… pia er motorino e vie’ qua!” finge tranquillità.
Mi alzo, mi infilo la sua camicia.
“Insomma cosa c’è?”
Denis mi fa una carezza. “Niente, torna a dormire”
Lo conosco da troppo tempo. Quando fa così significa che c’è qualcosa di grosso sotto.
Il ragazzo arriva dopo mezz’ora.
Denis mi ha detto di restare in camera.
Devo capire. Penso lo voglia incastrare.
Apro piano la porta e scendo le scale fin dove non mi possono vedere.
Loro stanno fumando.
“Hai capito?” dice Denis, mentre si versa da bere.
“Ma nun ce sono mai annato” risponde il ragazzo
“E che è un problema? Te ce porta Luigi. Lui sa tutte le strade, gli indirizzi. Tu nun devi fa’ altro che di’ che sei figlio mio”
“E se me fanno domande?” il ragazzo è preoccupato. Lo sono anch’io.
“Ma che domande? T’ho già spiegato che Luigi te porta, tu scendi, finisci l’affare e mo’ te ne vai con macchina e soldi. Minchia te sto a fa’ guadagna’ al mio posto, me ringrazi così?”
Il ragazzo ride.
Denis fa lo stesso.
Si stringono la mano.
“Domani alle sette, puntuale” dice Denis prima di accompagnarlo alla porta.
Salgo le scale, apro la porta e mi metto a letto.
Lo vuole incastrare, ne sono sicura. Perché mandare un ragazzo inesperto a prendere una porsche e un sacco di soldi?
Lui entra in camera. Fingo di dormire. Mi abbraccia. Di nuovo facciamo l’amore.
Il giorno dopo Denis riceve un sacco di telefonate e a tutte risponde nello stesso modo: “Minchia, t’ho detto che devi stare calmo. E’ tutto risolto!”
Poi finalmente qualcuno chiama a casa. Ovviamente è per Denis.
Corro in camera da letto, alzo la cornetta e ascolto tutto.
“Guarda che su in Germania si sono accorti di tutto. Li hai fottuti e adesso vogliono tutti i soldi!” dice un uomo.
“Domani mattina parto, e vi porto tutti i soldi. E così sistemiamo ogni cosa” risponde Denis.
Si salutano.
Riattacco.
Mi faccio una doccia, mi vesto, mi trucco. Dico a Rosita che voglio andare a Campo de fiori a prendere della cicoria. Luigi ci accompagna. Ma a un certo punto gli dico di fermarsi.
“Prendiamo la metro e poi andiamo a piedi!”
“Da qui?” mi chiede perplesso Luigi.
Rosita mi guarda senza capire.
“Certo, guarda che bel sole. Voglio camminare!”
Lui fa spallucce e si ferma.
Lo salutiamo e ci incamminiamo verso la metro.
“Rosita ora reggi il gioco e così hai finito di fare questa vita di merda!”
Lei annuisce ma ancora non ha capito.
E mentre faccio tutto sento la frase di Denis rimbombarmi nella testa, “Che male c’è se vogliamo qualcosa? Ce la prendiamo e basta! Vuoi una cosa? Te la prendi, se ne hai le palle, te la prendi e basta!”. Ma soprattutto sento la canzone Malafemmena, cantata dal ragazzo con quella parlata napoletana un po’ storpiata.
Certo bisogna avere le palle. E io ne ho avute. Forse anche troppo.
Non è stato facile fare un grosso bonifico sul conto corrente di mia nonna, azzerando, o quasi, il mio. Non è stato facile, sganciarmi per tutta la mattinata dalla pressione di Denis che chiamava in continuazione per sapere dove stavamo e che facevamo. Non è stato facile trovare il ragazzo che, proprio quel giorno, non stava in Piazza di Spagna con la carrozza ma a San Pietro. Ho chiesto ad alcuni suoi amici, che mi hanno subito riconosciuta e, dopo averlo aspettato un’ora in Piazza di Spagna, l’ho visto arrivare più bello che mai. Non è stato facile spiegargli la sola che stava tramando Denis alle sue spalle. Denis doveva un mucchio di soldi ad alcune persone con le quali trafficava auto. Li aveva imbrogliati, sfidando la sorte, sapendo che era rischioso quello che stava facendo. Eppure aveva giocato con il fuoco. Il gioco, in fondo, è sempre stato il suo modo per affrontare la vita. Così, per uscire pulito da tutta questa storia si è inventato un nuovo arrivo di porsche dalla Spagna. Il ragazzo avrebbe dovuto andarle a prendere in Germania. Sarebbe stato un colpo che gli avrebbe fruttato molti soldi. Ma lui non sapeva che Denis stava mentendo. In Germania lo aspettavano sì, ma armati! Non è stato facile, ma alla fine il ragazzo mi ha creduto.
Così come non è stato facile trovare tre biglietti (uno anche per Rosita) per Montevideo.
Abbiamo comprato il necessario alla stazione termini. Con un taxi siamo andati a Ciampino. Alle nove di sera abbiamo preso l’aereo.
In fondo ha ragione Denis. Se vogliamo qualcosa ce la dobbiamo prendere e basta. Io volevo la mia
libertà, il mio corpo e la mia vita. Me le sono riprese. Fino a quando durerà questa storia? Non lo so. Ogni mattina mi alzo con la paura che Denis sia fuori dalla porta. E invece fuori c’è solo Nerone, il cavallo di questo ragazzo, che si sta preparando per una gara. Lo guardo sellare il cavallo, lo saluto e sorrido. Ho voglia di abbracciarlo. Allora esco e vado da lui. Ci baciamo. Facciamo l’amore nella stalla. Prima di venire si ferma, mi guarda e dice: “Tu sei popo ‘na malafemmena”.
/Sara Durantini/
Illustrazioni: Sara Ponziano
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